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Laureana di Borrello

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Laureana di Borrello, luoghi calabresi

Laureana di Borrello: l’origine del nome

Secondo Marzano e Fonte, Laureana è stata così denominata dalla presenza del convento dei Basiliani, detto Lauro, chiamato così non già per la credenza popolare sulla presenza di un alloro gigantesco, ma per il semplice fatto che Laura in greco significa convento o monastero. In seguito, attorno al convento sorsero delle capanne poi delle casette di fango, edificate sopra il terreno dello stesso convento, le quali erano abitate da coltivatori ed appartenevano ai Basiliani. E poiché il convento era detto Lauro, si aggettivò tale voce in Lavriana, Lauriana e infine Laureana, dando così il nome al primo raggruppamento di case che sorsero intorno a quel convento. Il Fonte afferma infatti che il toponimo significa ‘terra ove abbondano le laure‘ o, rispettando l’origine bizantina ‘laures-ana‘ , togliendo la ‘s’ del dativo, si pronunciò Laure-ana, che vuol dire ‘sopra le laure‘.

I primi secoli

Nei primi secoli di vita ai Laureanesi si mescolarono nuclei familiari di altre etnie che, spinti dalle invasioni longobarde, normanne e saracene, trovavano rifugio presso i monasteri situati nell’interno. Questi portarono in Laureana le loro usanze, i loro modi di parlare e vestire. Anche se con i Normanni, intorno all’undicesimo secolo,  si introdusse il rito latino, e la diocesi cui era sottoposta Laureana veniva spostata da Nicotera a Mileto (1093), Laureana rimase come Nicotera al rito greco, mantenendo lingua, usanze e leggi bizantine. Fino a quando, nel XIII secolo, la progressiva disfatta dell’impero Bizantino lasciò spazio ai Saraceni che la colpirono più volte. E con il feudalesimo entrò a far parte della contea di Borrello.

La contea

Divenuto casale di Borrello Laureana seguì le sorti della Contea. Sulle sue terre governarono i valvassores e quando i valvassores iniziarono a tenere sotto la loro obbedienza molti valvassini si rese necessario aggiungere ai nomi i cognomi che ebbero origine dall’agricoltura, dal lavoro, dalle forme del corpo o dalla loro provenienza e così nacquero i cognomi più diffusi nel nostro paese: Carlizzi, Chindamo, Gallucci, Figliucci, Morabito, Lacquaniti, Protospataro, Muscari, Pisano ecc. Ecco che il cognome Morabito proviene dagli arabi, infatti murabit è colui che vive nel ribat (ritiro). I Barletta per la loro provenienza pugliese, così come per i Pisano, Catalano, Sorrentino. Cavallaro = cavalieri, d’origine bizantina, Condò per la loro statura bassa. Borrello vide in quei periodi numerose lotte per accaparrarsi la contea.

I primi conti furono Guglielmo Altavilla e sua moglie Adelizia. A questi succedettero il figlio Ugo e poi Malgerio, Ruggero, e Guglielmo. Dopo la morte del re Tancredi avvenuta nel 1193, arrivò l’imperatore Enrico VI che fermatosi nella sua discesa in Puglia, invitò l’abate di Montecassino, Roffredo a proseguire verso la Sicilia e al suo passare in Calabria tutte le città di questa regione, tra le quali troviamo Borrello, gli aprirono le porte.

Nel 1230 la terra di Borrello passò sotto il governo di Gualtiero Appardo. E verso il 1255 dovette assistere alla lotta tra Manfredi e Pietro Ruffo, conte di Catanzaro, il quale battuto più volte dovette ritirarsi. Continuò così per un altro decennio sotto il dominio degli Svevi, fino a quando i papi, che tenevano il supremo dominio sulla Calabria, ci misero a capo, nel 1265,  Carlo d’Angiò. A seguito di ciò Appardo venne sostituito da Ugo di Brienne il quale però non prese mai possesso di Borrello, e per la qual cosa fu dichirata Demanio regio e affidata a Giacomo Sirini.

Nel 1273 la contea ricadde nelle mani di Appardo sempre più potente e malvagio. Alla sua morte avvenuta nel 1277 Borrello venne affidata a D’Arot e l’anno successivo a Guglielmo Sanfelice. Nel 1282, il 14 ottobre, davanti a Nicotera avvenne uno scontro navale tra Angioini ed Aragonesi. Quest’ultimi, vittoriosi, erano guidati dall’ammiraglio Ruggero de Lauria al quale nel 1290 venne affidata la contea di Borrello. Alla sua morte gli successe il figlio Riccardo (1305) e a questi il proprio figlio Berengario fino al 1324.

In quell’anno la contea passò in mano di Pietro II Ruffo, conte di Catanzaro, il cui dominio durò fino al 1368 anno in cui passò nelle mani di Ruggero Sanseverino e poi al figlio Ruggero e a suo figlio Enrico II. Poi a Calogero, a Luigi, e ad un altro Enrico. Nel 1408 la contea fu venduta dal re Ladislao a Bernardo Capece e alla morte del re passò nelle mani di Saladino Santangelo per 3500 ducati d’oro. Ma impossibilitato a pagare nel 1422 la contea venne acquistata da Carlo Ruffo.

Il re Alfonso d’Aragona, invaghitosi di una certa  Lucrezia d’Alagno, bellissima nobildonna campana, nel 1453 sottraeva la contea a Carlo Ruffo dandola ad Ugo d’Alagno, fratello di lei.  La contea di Borrello passò al figlio Mariano che la tenne fino al 1472 anno in cui il re Ferrante d’Aragona la diede ad Aniello Arcamone, il quale finì implicato in una congiura contro il re e per questo arrestato. Borrello passò quindi al regio demanio fino all’11 marzo 1487, giorno in cui la contea venne data in dono a Isabella d’Aragona per il suo matrimonio con Gian Galeazzo Sforza duca di Milano. Ma lo zio  di questi essendone il tutore se ne appropriò indebitamente.

Dopo la divisione del regno di Napoli tra Francesi e Spagnoli, i cittadini di Borrello, unitesi agli spagnoli, venivano guidati da Ettore Pignatelli, il quale sosteneva, falsamente,  di aver comprato la contea nel 1501 per 15.000 ducati. Ad esso succedette il figlio Camillo e poi Ettore II, Camillo II e infine Ettore III. Questi sposò Caterina Caracciolo da cui, nel 1599, nacque Geronima. Ella nel 1615 sposò Fabrizio III Pignatelli, suo parente, che divenne conte di Borrello. La contea passò poi al figlio Senise Ettore IV il quale sposò Giovanna Tagliavia Aragona Cortes. Ettore IV morì nel 1674. Il figlio Fabrizio Andrea sposò Teresa Pimentel da cui nacque Giovanna Aragona Pignatelli Cortes Pimentel che da Nicola Pignatelli ebbe un figlio di nome Diego, conte di Borrello. A lui successe Fabrizio e poi Ettore V morto nel 1800.

ll progressivo declino di Borrello

Borrello venne rasa al suolo dalle scosse che ebbero come epicentro le Serre occidentali nell’ambito della sequenza sismica del 27 e 28 marzo 1638, il cosiddetto disastro della Domenica delle Palme, e successivamente fu di nuovo devastata dal sisma del 6 novembre 1659. Incominciò per l’antico borgo un rapido e irrimediabile declino: la formazione di nuove paludi, in una zona già ammorbata dalla malaria, spinse la popolazione al progressivo abbandono del sito a favore dei villaggi vicini fra cui Laureana che divenne il centro più popoloso del contado.

Il terremoto del 1783

Intorno alle 12.45 del 5 febbraio 1783 gli abitanti di Laureana udirono un orribile fragore che preannunciava un sisma del 6.9º Richter che ebbe come epicentro Polistena, la quale venne totalmente rasa al suolo. La prima scossa, della durata di oltre due minuti, assunse tutti i possibili andamenti con una fase iniziale ondulatoria e sussultoria e una conclusione rotatoria: una combinazione fatale che non lasciava scampo. Non era che l’inizio di una sorta di incubo: alla prima scossa ne fecero seguito altre 4 distruttive fra le quali, quella del 7 febbraio, (Me 6.5), con epicentro nei pressi delle valli del Mesima e del Marepotamo, che abbatté il poco che la scossa del 5 aveva risparmiato. Lo sciame sismico si protrasse per oltre 3 anni durante i quali si contarono migliaia di scosse che ebbero, cumulativamente, effetti devastanti. Laureana si trovava di fronte a una delle più gravi catastrofi che colpirono l’Italia meridionale in età moderna. I danni agli edifici e al patrimonio architettonico e artistico furono incalcolabili; il paesaggio fu totalmente sconvolto: laghi sparirono mentre altri se ne formavano, alcune montagne furono squarciate, mentre la depressione della valle del Mesima modificò il corso di fiumi e torrenti. Borrello, già ridotto ad un minuscolo villaggio dai terremoti precedenti e dalla malaria, cessò definitivamente di esistere.  Nella relazione redatta dagli osservatori del Tour Scientifico della Reale Accademia delle Scienze e Belle Lettere di Napoli, che visitò i luoghi del disastro nel maggio 1783, l’antico centro del contado veniva così descritto: “Borrello dà nome a un feudo, di cui esso è la più misera, e minima parte. Non ostante la sua ben alta situazione, è uno dei più malsani soggiorni della Calabria ultra. Ha territorio naturalmente soggetto agli stagni, e ingombrato dalle paludi. […] Borrello fu miseramente distrutto, e non vi avanzano nel luogo, ove fu situato, che i rozzi rottami della sua ruina.” “Lauriana” veniva rappresentata, invece, come “la parte maggiore del feudo Borrello.” Tuttavia, il seguito della descrizione non era dei più felici: “Ne accrescono il genio paludoso e insalubre la vicinanza del fiume Jerapotamo, e la frequenza di molti ruscelli. […] In questo aggregato di valli, di stagni, e di picciole colline nel dì 5 di febbraio si produsse sotto l’impeto del tremoto un generale rivolgimento. […] Le disgrazie, avvenute negli abituri degli altri villaggi, cioè Bellantone, Candidone, Serrate e Stiritanone, furono tali che quello, che ne rimane, non è servibile e non vale la pena di essere conservato.” Un quadro di desolante distruzione che viene confermato dalle parole del Maresciallo Francesco Pignatelli, nominato il 15 febbraio 1783 Vicario generale delle Calabrie. Nella sua relazione, dove con il nome Laureana veniva denominato l’intero feudo, egli affermava: “A Laureana per le scosse dei memorabili terremoti furono distrutti gli edifizj […] restando in piedi soltanto poche fabbriche rovinate, di cui non può farsi alcun uso.” Complessivamente nel feudo di Laureana – Borrello si registrarono 259 morti così distribuiti: Laureana 58, Caridà 52, Candidoni 40, S. Pietro 39, Feroleto 33, Stelletanone 17, Bellantone 7, Borrello 8 e, infine, Serrata 5.  In tutta la Calabria il disastro ebbe conseguenze di tipo politico, economico e sociale. Il terremoto fu utilizzato dai Borboni come espediente per giustificare l’abolizione della manomorta ecclesiastica: il 4 giugno 1784 fu istituita dal Re di Napoli Ferdinando IV la Cassa Sacra con l’obiettivo di utilizzare i beni confiscati alla Chiesa per la ricostruzione. La vendita all’asta di tali beni ebbe il risultato d’incrementare le proprietà dei nobili latifondisti, mentre solo una parte irrisoria servì allo scopo ufficialmente propagandato, incrementando ulteriormente le sperequazioni sociali. Il disordine idrogeologico e le disastrose condizioni igieniche protrattesi per anni, favorirono la diffusione di varie epidemie, e l’incremento delle patologie già presenti, specialmente la malaria.  A Laureana, come negli altri comuni interessati dal sisma, gli abitanti avvertirono improvvisamente un senso di caducità della vita e l’impressione di trovarsi davanti a una apocalisse, testimoniate dal moltiplicarsi del numero di testamenti, che raddoppiò e in qualche caso triplicò rispetto agli anni precedenti alla catastrofe. A Stelletanone, negli orti di Domenico Riniti e di Antonio Argirò, furono allestiti studi notarili in capanne, dove venivano dettati i testamenti che disponevano, tra l’altro, numerosi e cospicui lasciti alla Chiesa per la salvezza dell’anima: il sisma fu interpretato da molti sopravvissuti, infatti, come un castigo celeste o il preannucciarsi della fine del mondo.  Il terremoto potrebbe essere all’origine della sostituzione dell’antico Patrono di Laureana, San Nicola di Bari. La tradizione religiosa, infatti, attribuisce alla Madonna del Carmine, un prodigioso intervento che avrebbe fermato la furia demolitrice del sisma procurando la “salvezza” al paese. Dal “miracolo del 5 febbraio” scaturì, nel tempo, una grande venerazione della Madonna del Carmine alla quale corrispose, probabilmente, il progressivo esaurimento del culto di San Nicola. A Maria Santissima del Carmelo, infatti, fu intitolata nel corso dell’Ottocento la Chiesa originariamente dedicata al santo (che era stata completamente distrutta proprio durante il sisma del 1783 e successivamente ricostruita); mentre nei decenni precedenti San Nicola aveva già perso il titolo di Protettore, a favore di San Gregorio Taumaturgo.

Chiese

* Chiesa Madre: la chiesa parrocchiale, edificata nel medesimo sito di una precedente costruzione risalente al XVI sec. circa, è intitolata a S. Maria degli Angeli e a San Gregorio Taumaturgo. Ricostruita dopo il terremoto del 1783, la chiesa fu resa inagibile dopo un ulteriore sisma verificatosi nel 1928 e ancora una volta totalmente riedificata tra il 1930 e il 1938.

* Chiesa di San Francesco D’Assisi comunemente conosciuta come chiesa di Sant’Antonio, si trova in via Belvedere.

* La chiesa di San Francesco di Paola, anticamente denominata Chiesa del Calvario o della Passione, fu in origine costruita nel 1580. La piccola chiesa, distrutta dal sisma del 1783, fu ricostruita negli anni successivi e leggermente ampliata nel 1885. Nello stesso periodo il suo interno fu decorato con le maioliche che sono visibili attualmente, mentre l’annesso convento dei Paolotti fu espropriato dal demanio e demolito per fare spazio alla strada che porta a Bellantone. Nella chiesa si conserva, tra l’altro, una statua lignea di S. Francesco di Paola proveniente dalla chiesa omonima della distrutta Borrello; sulla volta è rappresentato il Santo che attraversa prodigiosamente lo stretto di Messina camminando sulle acque. A causa delle pessime condizioni del tetto della chiesa, il dipinto rischia di essere irreparabilmente danneggiato dalle infiltrazioni di acqua. All’esterno, ai lati del campanile, due statue raffigurano i SS. Pietro e Paolo.

* Chiesa di San Pietro

* Chiesa del Carmine All’inizio di corso Umberto I ad angolo con via Chindamo

* Chiesa S. Maria della Sanità.  Conosciuta anche come “chiesòla” o “chiesa della Madonnicchia”, è ubicata nel sito dove si suppone possa essersi formato il nucleo originario di Laureana intorno all’anno 1000, nell’attuale via Melchi nella cosiddetta zona dei “massari”. L’inusuale esposizione a nord della facciata fa ipotizzare che l’edificio sia stato eretto utilizzando la base di una costruzione di tipo civile preesistente. La chiesa, fatta costruire dalla famiglia Laquaniti-Argirò presumibilmente intorno al XVII secolo, fu resa inagibile dal sisma del 1783 e successivamente restaurata in stile barocco. In essa, si venerava una ottocentesca statua in cera raffigurante Maria Bambina. Attualmente l’edificio, non accessibile al pubblico, conserva: una lastra marmorea a basso rilievo del 1300, proveniente da Mileto; alcune tele settecentesche; un lavamanile in marmo del Seicento; uno splendido organo diritto a mantici del sec. XVIII; sull’antico portale in pietra della chiesa, infine, lo stemma degli Argirò.