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Benoit Manno

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Benoit Manno: la sua Storia

Trent’anni e il titolo di campione nazionale categoria Superpiuma conquistato l’11 novembre 2011. Benoit Manno, sangue calabrese (originario di Acquaro nel Vibonese) e maturazione piemontese (dove vive da diversi anni), al palasport “Le Cupole” di Torino ha affrontato in 10 riprese Luigi Mantegna conquistando il titolo nazionale.

Professionista dal 2009, Manno ha iniziato con la boxe a 16 anni al “Boxing Club Torino”, ha disputato una settantina di match conquistando 3 volte il campionato interregionale, svariate coppe e cinture piemontesi, due volte il titolo di campione italiano universitario (nei pesi welter e nei pesi leggeri), per due volte è stato vicecampione Prima serie, ed è stato convocato anche in nazionale dove si è classificato al quarto posto ai Mondiali in Russia. «Ho provato una soddisfazione enorme – spiega Manno nel ricordare la vittoria nazionale – è stato il premio per i tanti sacrifici sofferti in questi 13 anni di attività in cui ho messo la boxe al di sopra di ogni cosa: amici, divertimento, amore, lavoro. I miei sacrifici sono stati ripagati ma solo in parte, la cintura di Campione d’Italia rappresenta solo uno degli obiettivi che mi sono prefissato».

La boxe al di sopra di tutto, un percorso fatto di allenamenti, solitudine e concentrazione. «Il pugilato è per me uno stile di vita – prosegue Benoit, per gli amici Ben – dedico 4 ore al giorno agli allenamenti, rispetto una dieta ferrea, faccio poca vita mondana. Le mie giornate sono pesanti, perché oltre ad allenarmi devo anche lavorare. Chi decide di intraprendere la carriera di pugile professionista deve mettere in conto che con la boxe non si vive e, oltre ad allenamenti e diete, il pugile contemporaneo lavora anche».

Con la boxe, dunque, non si diventa ricchi, a reggere le gambe sul ring c’è tutta la passione di un uomo pronto a sfidare l’avversario ma, soprattutto, se stesso, in cerca dei propri limiti con la segreta speranza di superarli, pugno dopo pugno, round dopo round, match dopo match per salire in cima al tetto del mondo. «È uno sport poco remunerato, ai miei livelli – spiega ancora Manno – si guadagna pochissimo, per poter vivere di solo pugilato bisogna per lo meno vincere un Europeo, titolo a cui aspiro. Rimane, comunque, uno degli sport più amati e ricercati dai giovani, il suo fascino è quasi primordiale e le persone che mettono piede in palestra è difficile che non rimangano “colpite” dalla purezza della boxe».

Ma cosa fa scattare il suono del gong nellamente di un pugile? Semplice: «Adrenalina pura. Mi fa sentire vivo. Ho iniziato a 16 anni, su consiglio di un amico, 6 mesi dopo dovetti scegliere se proseguire nel calcio o buttarmi in questa avventura; scelsi il pugilato». Una scelta di vita, perché «a differenza degli sport di squadra, il pugilato ti responsabilizza molto, se sei stanco il tuo maestro non ti sostituisce con un altro pugile, sta a te tenere duro e continuare, se sei stanco vorrà dire che non ti sei allenato a sufficienza e te ne assumerai le responsabilità rischiando di prendere più colpi». Una strada che ti fa capire che la vita non è facile, che per crescere bisogna fare sacrifici e lottare fino all’ultimo, che nulla è dovuto ma ogni cosa va conquistata. «È uno sport complesso, coinvolge tante emozioni: aggressività, paura, ansia e questo non può far altro che responsabilizzare e far maturare chi si avvicina alla boxe», una palestra di vita che fa crescere. «Il pugilato è strano – racconta Manno – si fa tutto al contrario, nessuno andrebbe incontro a un pericolo, mentre il pugile va sempre verso i pugni dell’avversario, verso ciò che teme, verso la propria paura». Essere un boxer non significa solo dare e incassare pugni, la vita continua anche fuori dal ring, anzi è proprio fuori dal ring che si combatte il match più duro, quello con le difficoltà quotidiane. Per questo è necessario non trascurare nulla, in primo luogo l’istruzione: «Sono iscritto all’università – conferma Manno – Scienze motorie e spero di laurearmi al più presto» e soddisfare così la sete di «conoscere, sapere, avere un’ampia visuale del mondo e della vita. Quando ho un attimo di tempo libero lo dedico ai viaggi, ai libri, coltivo il più possibile le mie passioni». Ma che cos’è lo sport per Benoit Manno? «Una delle ruote più importanti per lo sviluppo della vita, svolge un ruolo determinante nella formazione, nello sviluppo e nell’educazione. Ad alcuni sport, come il calcio, i giovani si dedicano sulla spinta della televisione per la ricerca del successo, della notorietà. Ad altri sport, di nicchia, ci si dedica per la passione, per condividere momenti piacevoli, per divertimento».

Il futuro di una persona affonda le radici nel passato e anche per questo Manno ci tiene a ricordare le sue origini calabresi di cui «ho ricordi indelebili. Ho frequentato quasi tutte le scuole elementari, prima di trasferirmi più volte tra Francia e Italia. Gli odori della campagna calabrese, con i suoi ulivi, l’uva, le battaglie, i giochi all’aperto, la scuola, “rubare” frutta e verdura negli orti, il mare d’estate, i primi baci. Avere del sangue calabrese nelle vene ha contribuito ad aiutarmi, a essere tenace e battagliero, sia nella vita di tutti i giorni che nella boxe».

La boxe è una passione costante nei pensieri del trentenne campione italiano per il quale «con la boxe si impara prima di tutto il rispetto per gli altri, sono pochi gli sport dove esiste il cosiddetto terzo tempo e il rugby e la boxe sono gli esempi più eclatanti. Dopo aver combattuto, i pugili si abbracciano chiudendo ogni rivalità. È un rituale che passa oramai inosservato ma che racchiude rispetto, stima, sentimento di pace. Questo è solo uno dei motivi, oltre alla completezza dell’allenamento, al suo rigore, la sua disciplina, il progressivo aumento di autostima, per cui consiglierei la boxe a un ragazzo che inizia a muovere i primi passi nel mondo dello sport».

Lanciando uno sguardo al futuro Benoit Manno salirà di nuovo sul ring il prossimo 25 febbraio a Savigliano a 50 km da Torino (incontro in diretta su Sport Italia) con un sogno in mente e una richiesta alle autorità calabresi: «Farmi combattere presto nella mia tanto amata terra».